Con la sconfitta contro la Pro Sesto il Livorno chiude la sua avventura tra i professionisti, ma si chiude in realtà un anno di recite e ridicoli teatrini, avventori e lotte di potere che poco hanno avuto a che fare con il calcio. Un anno di inutili stenti, in cui il Livorno era già morto un anno fa e per un anno è rimasto come in accanimento terapeutico, mentre sarebbe stato meglio staccare la spina quando c’era la possibilità, resettando tutto da zero.
“Dalle alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno” direbbe il Manzoni, in quel ‘Cinque maggio’ che sta per arrivare, ma forse aggiungerebbe anche “dall’Olanda all’India, passando per la Serbia“. Quanti aspiranti acquirenti, ma il Livorno è stato come “La bella di ciglia, tutti la vogliono ma nessuno la piglia“. Alla fine Spinelli, rimasto col cerino in mano, si è dovuto mettere in casa qualcuno di questi dubbi figuri, alcuni già noti per aver già fallito nel calcio, neanche un anno fa.
Ecco perché sarebbe stato meglio chiudere bottega quando ce n’era bisogno. Giornalisticamente e sportivamente la retrocessione del Livorno è un caso straordinario, tra mancati pagamenti, penalizzazioni su penalizzazioni, soci e acquirenti, giocatori che hanno lasciato la società anzitempo. Un finale senza dignità, che probabilmente nessuno avrebbe meritato, neanche il peggior nemico. Uno o due mesi fa ho ricevuto anche delle minacce telefoniche da alcuni tifosi che volevano che io non parlassi più del Livorno. Io, un semplice giornalista a 20km di distanza, visto come un nemico. Dispiace dirlo, ma il nemico il livornese lo aveva già in casa, tra i tanti soci e proprietari.
Neanche un anno fa scrissi “Comunque finirà la telenovela sul futuro della società amaranto, una cosa appare certa“, poco dopo mi lancia in pronostici sul fallimento, poi disattesi. La realtà è stata addirittura oltre qualsiasi aspettativa negativa. Pochi anni fa il Livorno era in Serie A e il Pisa in Serie D. Oggi a ruota della fortuna è girata, ma qualcuno dirà ancora “avanti d’esse pari”. Che parli pure.