Due appuntamenti in cartellone nella Stagione teatrale trattano di questo aspetto purtroppo spesso in secondo piano
«La Giornata della Memoria è stata istituita per non dimenticare una tragedia immane, per non dimenticare e ricordare sempre che non ci sono vittime di serie A e di serie B. Per ricordare sempre che le grandi tragedie nascono e cominciano con piccoli gesti di sopraffazione da non sottovalutare mai, perché spesso sono proprio i piccoli gesti, apparentemente innocui, a gettare il seme per un odio montante verso questa o quella categoria di persone, un odio che fa dimenticare che ogni essere umano è uguale all’altro senza distinzione di sesso, colore della pelle, credo religioso o orientamento sessuale. A questo serve la Giornata della Memoria se non vogliamo che diventi solo un vuoto rituale privo di senso». Così Silvano Patacca, il direttore artistico della Stagione teatrale del Teatro Verdi, riassume le motivazione che lo hanno portato, insieme con Fondazione Toscana Spettacolo, a programmare in cartellone, per la Giornata della Memoria, due spettacoli sulla persecuzione degli omosessuali durante il fascismo e il nazismo: BENT, in programma in un matinée per le scuole superiori, aperto anche agli studenti universitari, giovedì 26 gennaio alle ore 10, e UNA GIORNATA PARTICOLARE, in abbonamento questo fine settimana.
BENT, regia di Lorenzo Tarocchi, interpreti Henrj Bartolini, Gabriele Giaffreda, Alessio Nieddu, Alessandro Novolissi, Francesco Tasselli e Davide Arena, prodotto dall’Associazione Culturale Masaccio con il patrocinio della Regione Toscana e del Comune di San Giovanni Valdarno e con la collaborazione di Amnesty International, è tratto dalla piéce teatrale di Martin Sherman, rappresentata per la prima volta al London’s Royal Court Theatre nel 1979, e sta girando in tutta Italia fin dal debutto nel gennaio 2014 (fra i luoghi che lo hanno ospitato, anche Marzabotto). Molte le scuole che vi hanno partecipato: come ricorda , uno dei protagonisti, «le scuole non ci hanno mai tradito, i ragazzi, che in questi 2 anni sono stati più di 3000 hanno accolto questa storia, per altro veritiera anche se con nomi romanzati, con un calore e un sensibilità inaspettata».
Uno spettacolo necessario per fare luce sua una pagina di storia quasi rimossa. Come hanno più volte ricordato sia la RAI che alcuni quotidiani, si aprirono infatti prestissimo, per omosessuali e transessuali, i cancelli dei campi di concentramento: i primi vennero internati nel 1933 a Fuhlsbutte, nel 1934 arrivarono a Dachau e a Sachsenhausen. Centinaia furono deportati in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936. Costretti a portare cucito sulla divisa un triangolo rosa, umiliati e sottoposti a esperimenti pseudoscientifici letali, nel 60% dei casi non riuscirono a sopravvivere. A morire del campi furono 7 mila persone, quasi tutte di nazionalità tedesca. Una pagina strappata della storia perché il pregiudizio omofobico, esaltato dal regime nazista, non era certo assente negli altri paesi, neppure in quelli che si opposero al Terzo Reich durante il secondo conflitto mondiale. E allora, quando i cancelli di Auschwitz e degli altri lager vennero abbattuti dai blindati alleati, molti dei superstiti marchiati con il triangolo rosa preferirono tacere il vero motivo del loro internamento, diventando vittime senza voce e senza giustizia.
Il protagonista di BENT è Max, che nella Berlino degli anni ‘30 frequenta i cabaret e convive con Rudy, un ballerino. Dopo la Notte dei lunghi coltelli, nel 1934, niente però sarà più come prima. Comincia così la fuga tragica di Max e Rudy, presto ucciso, una fuga che per Max termina a Dachau. Qui lui, che ha negato la propria omossessualità, si è finto ebreo ed è marchiato quindi con la stella gialla, incontra Horst, ebreo marchiato con il triangolo rosa riservato agli omosessuali. Tra i due cresce una storia d’amore delicata, improbabile, disperata. BENT (il titolo si riferisce al termine slang utilizzato in alcuni paesi europei per definire gli omosessuali) è uno spettacolo potente che pone l’accento sulla capacità di prendere coscienza della propria dignità e sul valore dell’amore in una situazione di completa disumanizzazione, e lo fa a tratti con tagliente ironia, a tratti con emozionante poeticità. Il tutto in una scenografia volutamente minima: «Le fredde barre di ferro di una doccia terrificante, una pedana rigida di legno e qualche mattone sono l’unico accenno di una scenografia minima, che deve soltanto alludere all’atrocità: il movimento pieno degli attori e le parole calibrate di un testo inevitabile bastano a riempire la scena e a imporre una riflessione su una gretta discriminazione con cui dobbiamo ancora fare i conti» (Teatrionline)
All’inizio e a conclusione dello spettacolo è previsto un incontro di riflessione e confronto, con la prof. Micaela Frulli, docente di Diritto internazionale all’Università di Firenze, e gli attori della compagnia, nell’ambito del programma di “Cultura è educazione” dell’Assessorato alle politiche educative e scolastiche del Comune di Pisa. A spiegare il senso dell’incontro è la stessa prof. Micaela Frulli, che risponde così anche alla polemica sollevata da comitato “Famiglia Scuola Educazione” di Pisa: «Il progetto educativo che accompagna BENT si chiama “Non c’è futuro senza memoria” ed è stato pensato proprio per collegare la feroce persecuzione nazista a danno degli omosessuali, avvenuta tanti anni fa, a quello che succede oggi in molte parti del mondo. Episodi come questi dimostrano quanto ci sia disperatamente bisogno di far conoscere quegli eventi e di dialogare con i ragazzi intorno al passato per poi riflettere sul presente. Come curatrice del progetto educativo non sono arrabbiata, ma dispiaciuta e invito questi genitori a venire a vedere lo spettacolo in tutta la sua poesia (perché dalla nota che hanno scritto è chiaro che purtroppo non l’hanno visto) e ad assistere al dibattito con i ragazzi. Ringrazio la Regione Toscana e Amnesty International, che hanno dato il loro patrocinio a BENT e al progetto che lo accompagna, e Fondazione Toscana Spettacolo e il Comune di Pisa che l’hanno voluto al Teatro Verdi. Il sostegno delle istituzioni e quanto mai prezioso, indispensabile, per questa battaglia di civiltà (e quindi grazie anche alla regione Val d’Aosta, al Comune di Marzabotto, ma anche al Teatro di Rifredi che l’ha ospitato a Firenze e ne potrei citare molti altri).
Io personalmente coltivo una grande speranza: quella che i ragazzi siano pronti ripudiare ogni forma di discriminazione e sono fiduciosa che questo avvenga perché ho avuto il privilegio di vederlo accadere con tanti studenti che hanno visto lo spettacolo e con i quali ci siamo confrontati nelle scuole e nei teatri, e mi rincuora che molti insegnanti l’abbiamo giudicato un prezioso ausilio per il loro lavoro e uno strumento di crescita culturale per gli studenti. E ringrazio anche loro, chiamandone in causa solo alcune (peraltro c’è chi è proprio adesso sul Treno della memoria) perché tutti e tutte insieme dobbiamo andare avanti su questa strada. »
I biglietti per lo spettacolo costano 8 euro; gli studenti universitari possono acquistarli al Botteghino la mattina stessa di giovedì (apertura ore 9)
Per informazioni Teatro di Pisa 050 941111 e http://www.teatrodipisa.pi.it