La storia della famiglia Caracciolo raccontata dalla moglie del calciatore del Pisa Maria Elena Evangelisti su Instagram. Una storia fatta d’amore e forza di volontà, di difficoltà e responsabilità. La moglie di Caracciolo si apre a 360 gradi raccontando il calvario che ha dovuto affrontare la famiglia per superare i problemi del figlio Enea, fino all’operazione in Polonia di pochi giorni fa. La lettera, comunque pubblica, è stata qui riportata su autorizzazione dell’autrice.
“Racconterò qualcosa che non ho mai raccontato, forse per riservatezza, forse per non dar modo alla gente di parlare perché tanto ci sono quelli che gioiscono delle disgrazie altrui e forse anche perché non voglio mai far pena.
La mia gravidanza scorreva a gonfie vele, anzi no, era piena di nausee per i primi 4 mesi e nei successivi due di svenimenti. Il caldo della primavera nel 2018 non aiutava.
Il secondo martedì di maggio avrei avuto un controllo di routine dalla ginecologa.
Le mie preoccupazioni fisse erano “ho la glicemia alta e se ho il diabete gestazionale?”, “mi tira tantissimo la pancia e se mi vengono le smagliature?”.
Ed eccoci alla visita..la ginecologa fece buio nella stanza, spruzzò il gel e iniziò a guardare con l’ecografo.
Ricordo che dopo varie spiegazioni, dopo aver sentito il battito di quel cuoricino di 24 settimane, calò un silenzio strano e la mano della dottoressa si faceva sempre più pesante, premendo con il manipolo sulla bocca dello stomaco.
Guardavo Antonio ripetutamente, senza trovare risposta, perché lui fissava lo schermo senza capire..allora con un sorriso dissi:”cos’è che stiamo cercando?”
Lei mi rispose: “Il femore. Non lo trovo. O meglio.. è rotto!”
Ho un vuoto nella mia testa, da lì mi rivedo nella stanzina dove avevo appoggiato i miei vestiti, piangendo a singhiozzi, senza riuscire a smettere, senza trovare consolazione.
Ci fecero fermare in sala d’attesa, dicendoci che avrebbe chiamato il centro dove avevamo fatto il test combinato, per verificare con il loro macchinario…che magari faceva vedere meglio le immagini.
Mi ricordo facemmo una ricerca sfrenata su internet, digitavo qualsiasi cosa su Google per capire cosa fosse, ma poteva essere tutto e il contrario di tutto.
Il tragitto in macchina da uno studio medico all’altro mi si fece interminabile, senza riuscire a parlare, con il cuore che mi batteva in gola e nella pancia, con le lacrime che straboccavano dai miei occhi; ricordo la faccia spiritata della ginecologa che ci aspettava al portone… ci accompagnò per capire, perché da quando esercitava non le era mai capitata una cosa del genere.
Ho di nuovo un vuoto nella testa, mi ricordo però la frase dell’altra dott.ssa prima che uscissimo: “Chiamerò subito la genetista del Mangiagalli, perché confermo che il femore sembra rotto e potrebbe trattarsi di osteogenesi imperfetta, mi dispiace ragazzi, può capitare, a Milano vi indirizzeranno a dei centri europei dove ancora è possibile interrompere la gravidanza.”
Non me ne capacitavo, non poteva essere che la mia felicità a tutto tondo che finalmente avevo trovato e che mi meritavo, si interrompesse così.
Ci fu subito un’altra visita, questa fu dalla dott.ssa Portuese, che mi aveva fatto la morfologica alla 21ª settimana… le sarò sempre grata per la dolcezza, il tatto e la disponibilità.
Mi disse: “suo figlio è bello e sano, io non voglio sostituirmi alle vostre decisioni, ma qui secondo me c’è da trovare un bravo ortopedico, farò delle ricerche su casi simili e vi manderò tutto. La crescita del femore sinistro è ferma alla 20+5”.
Nel giro di 10 giorni vedemmo altri due ginecologi, fino all’attesa visita al mangiagalli.
Non ci fu mattina in cui ci svegliavamo sperando che tutto fosse un brutto sogno.
Non ci fu notte in cui non andavamo a dormire tra le preghiere.
La genetista ci disse che si rifiutava di fare l’amniocentesi alla 26ª settimana, con il rischio di perdere il bimbo, perché non aveva nulla di genetico, ciò che aveva era malattia congenita scheletrica che si sarebbe dovuta risolvere in campo ortopedico.
Se ci sentimmo sollevati?
Forse sollevati no, ma consolati sì.
Perché?
Perché c’era una soluzione.
20.10.2020
La preoccupazione non svuota il domani della sua pena, svuota l’oggi dalla sua forza.
Ed è proprio così che ho affrontato questi primi due anni meravigliosi del mio Enea.
Rimandando la preoccupazione delle operazioni che avremo dovuto affrontare.
Ne andava della mia salute mentale e della sua felicità.
Non nego che appena mi hanno confermato la data (un mesetto prima) tutta l’angoscia accumulata ha iniziato a farsi sentire.
Come prepari un piccolo Mowgli a stare fermo immobile?
Non lo so, l’ho lasciato saltare, sfogarsi, correre tra le onde e tuffarsi dal divano quanto gli pareva.
Ho ingessato i suoi pupazzi preferiti..Che quasi quasi una mattina mi ha detto che il gesso lo voleva pure lui.
Come si prepara una mamma a lasciare il suo scricciolo fuori dalla sala operatoria in braccio all’anestesista e aspettarlo per 9 interminabili ore?
Non lo so, ho pianto nel corridoio dopo avergli detto il più sorridente “A dopo!” di sempre; mi sono vista tutto Emily in Paris su netflix; ho pianto a metà mattinata quando venivano a bussare e non erano sue notizie ma solo la pulizia del cestino e anche a fine mattinata quando pensavo fosse finita e mi dicono che “per ricucirlo e mettere il gesso ci vogliono altre due ore”… e passate anche quelle due ore..ecco presentarsi tutto il macigno di quell’angoscia accumulata, avevo il cuore in gola, nello stomaco… ovunque..
Poi finalmente, dopo 9 ore e mezzo..«Mama follow me!» mi dice un’infermiera…
trovo Enea nel post operatorio a urlare come un pazzo e a dirmi «mamma in braccioooo», „si fa sempre riconoscere“ ho pensato… che si voleva arrampicare con le mani alle sbarre del lettino, da sdraiato… eccolo mowgli, nemmeno appena svegliato dall’anestesia generale,con l’epidurale e col calmante sta calmo.
Le giornate sono dure… adesso sono le 16:20 e sono 11 ore che sono sveglia, in queste dieci ore il 90% del tempo l’ho passato in piedi piegata con il viso vicino al suo
Come si preparano un piccolino di 26 mesi e i suoi genitori ad affrontare questo periodo?
Non lo so, vediamo come, va giorno per giorno.
Ps: un ringraziamento speciale al coronavirus che ha fatto sì che fossi sola in tutto ciò”.
Maria Elena Caracciolo