Ieri sera, nel corso della puntata numero 43 di Finestra sull’Arena, Lisuzzo si è raccontato a tutto tondo, parlando di quella che è la sua idea di calcio e la sua nuova esperienza di vita come allenatore delle giovanili del Pisa, ma anche del suo passato e del suo modo di vedere questo mondo che amiamo tutti e che sa essere tanto emozionante quanto imprevedibile. Mettetevi comodi: ecco il calcio secondo Andrea Lisuzzo.


Ciao Andrea, raccontaci di come sono stati i tuoi inizi come allenatore. Fino adesso hai già vinto un torneo estivo e sei primo in classifica da imbattuto. Notevole.

Io ho cominciato il 20 di agosto, i ragazzi sono quelli dell’under 15, non sapevo come fosse la vita da allenatore. Avevo un’idea, avevo studiato, ero pronto, ma non si è mai pronti fin quando non ci si butta nella mischia. È stato meglio di quanto sperassi e prevedessi. Sono portato per fare questo lavoro. Non è essere pronti che ti fa vincere le partite, ma essere pronti ti fa avere quello stimolo che un giocatore deve avere quando smette di giocare. Un problema serio nel nostro mondo è quello della depressione post ritiro. Ci sono tanti giocatori in Serie A che magari vivono di benessere una volta ritirati, altri che non riescono a capire cosa fare o non riescono a catapultarsi in una nuova vita. Ammetto di essere stato apprensivo su questo all’inizio, ma avere vinto un torneo ad agosto, poi in campionato 5 vittorie e un pareggio e il primo posto con una gara in meno, mi ha dato orgoglio e fiducia.

l’addio al calcio di Andrea Lisuzzo (foto Valtriani)

Qual è la tua idea di calcio?

Il mio metodo è un po’ utopico. La mia idea di calcio è che i ruoli servono, ma non i numeri. In campo cis ono persone e attitudini con qualità diverse che bisogna sapere gestire e impedire secondo le posizioni in campo eg li spazi, non dico niente di nuovo. Per me non ci sono ruoli, un terzino può diventare mezzala, una mezzala può diventare esterno. Lavoro sull’occupazione degli spazi. Io intendo il calcio come fatto di geometrie e figure all’interno dello spazio e in base a questo modifico l’atteggiamento dei miei ragazzi. Molto probabilmente chi dice che sono un sarrista ha ragione.

Eri preoccupato all’inizio? Come si fa ad essere un buon allenatore secondo te?

La preoccupazione nel settore giovanile è sempre quella di portare il risultato a casa, a prescindere le categoria si cerca di vincere malgrado il gioco, a me questo non interessa. Ho le spalle larghe e cerco di imporre la mia cultura personale in maniera umile. Nel settore giovanile ha più senso fare una tecnica analitica sui ragazzi, quindi di base, funzionale a quella che è una gara. Forse in una prima squadra si fa fatica a portare questi concetti, ma si può fare. Il mio programma di lavoro dice questo, lavorare a prescindere dai risultati. Lavoriamo sul senso di responsabilità, i miei ragazzi per esempio puliscono spogliatoio e riordinano sempre dopo gli allenamenti. A molti può sembrare una cosa scontata, ma non lo è. Bisogna essere credibili e per essere credibili bisogna avere la cultura del fare e io sono il primo a farlo con loro. Un allenatore nello sport, non solo nel calcio, dev’essere costante su quello che dice.

L’abbraccio di Cardelli con Lisuzzo in Pisa-Novara 1-0

Come gestite l’attività al Pisa?

L’attività di base del Pisa è gestita benissimo, fin dai più piccoli. Ne prendo uno, Pasquini che ha un programma strepitoso. Chi si ritroverà nelle categorie nazionali poi troverà giocatori già pronti. A mio avviso il calcio è l’unico sport dove si lavora poco. Solo un’ora e mezza o due ore al giorno e bisognerebbe lavorare di più, nella prevenzione, nell’alimentazione, nel gruppo. A Pisa stiamo facendo proprio questo, lavoriamo diversamente.

Parliamo di questo Pisa? I neroazzurri arrivano da un pareggio con l’Olbia anche un po’ sfortunato.

Con L’Olbia il Pisa è stato sfortunato. L’equilibrio di una gara e di essere propositivi di una gara significa difendere pensando di attaccare e attaccare pensando di difendere quindi non ci può essere un adattamento perché un giocatore sta 50 minuti all’interno dell’area di rigore e poi una squadra viene nella tua difesa e ti sorprende. Un allenatore e una squadra devono essere pronti. Bisogna essere pronti a tutto. D’Angelo col Pisa fa proprio questo. Questo è il quinto anno che sono a Pisa, molte partite sono andate così con un Pisa arrembante che cerca di fare risultato e poi prende gol. 

Andrea Lisuzzo festeggia le 100 presenze in neroazzurro con la targa consegnata dal presidente Corrado (Foto Andrea Valtriani)

Non c’è niente di scontato quindi nel calcio?

Partiamo dal presupposto che il gioco del calcio è qualcosa di straordinario poiché non c’è niente di scontato. Se vogliamo qualcosa di scontato si va a vedere giocare Federer contro l’ultimo giocatore della lista ATP di Tennis, in quel caso vincerà Federer 100 volte su 101 partite. Quando giocavo nel Novara fino al 90’ abbiamo messo in difficoltà il Milan sull’1-1. Oppure col Pisa contro il Torino in Coppa Italia. Il gioco del calcio è un lavoro individuale ma nello stesso tempo collettivo. Molto fa la prestazione del singolo, ma soprattutto il lavoro collettivo. La bellezza e il fascino del calcio è questo, la bellezza di non avere niente di scontato. Tutti possono vincere, non importa fare il 75% del possesso palla, ci sono allenatori che nemmeno preparano le proprie squadre sul possesso palla.

Lisuzzo saluta il suo pubblico che gli riserva lo striscione “Grazie Lisuzzo”

Come ti sembra D’Angelo? 

Nell’incertezza di una partita e del caos che si crea l’allenatore deve dare delle certezze. Una certezza è dare sempre il 100% della propria forza e del proprio impegno. Il Pisa non sta mancando di questo e D’Angelo è l’uomo giusto. Secondo me la squadra ha giocato bene, ha giocato per vincere, è questa la mentalità. Una squadra come il Pisa, anche come solidità di società, deve sempre giocare per vincere a prescindere da quale sia il proprio avversario. Alla lunga, questo atteggiamento paga, saranno più i risultati positivi di quelli negativi se questo è l’atteggiamento. La rivoluzione che è stata fatta dalla società ha bisogno di tempo, anche i meccanismi dei reparti. La rosa è di qualità, è una squadra allestita sempre per sopperire ai problemi di infortuni. Io sono fiducioso. Bisogna attendere e aspettare, è vero che Pisa chiede tanto e subito, ma bisogna dare tempo a questa società.

Marco Deri con Rino Gattuso e Andrea Lisuzzo (foto Malasoma)

Chiudiamo con una riflessione personale. A Pisa raccontaci del momento più bello e del momento più brutto

Per il momento più bello sarebbe più scontato parlare della vittoria di un campionato e l’abbraccio con la squadra dopo il Foggia e invece no. In questi quattro anni il momento più bello è stato il primo giorno da allenatore. Il fatto di prepararsi per una cosa, di sapere per certo che prima o poi dovrai farlo, perché era quello che volevo, ma qualcosa che non si era mai fatto prima, come la nascita di un figlio e nessuno lì ti insegna  farlo. Il primo giorno chiamai i ragazzi a parlare sotto la tribunetta, spiegandogli i miei valori come ho spiegato anche a voi, ricordando loro che era una responsabilità vestire la maglia del Pisa e quando ho iniziato a parlare ho capito di essere veramente felice. È come il primo bacio, non si scorda mai. Sul momento più difficile non ho dubbi: è stato il periodo in cui Marco Deri è venuto a mancare. Era una persona che si faceva voler bene, uno di noi. Viverlo intensamente fino all’ultimo suo giorno è stato devastante, dovevi essere spensierato quando andavi a trovarlo ed era difficile vedendolo peggiorare ogni giorno. Lui non voleva che si arrivasse lì e si facesse la candela, voleva sapere, ascoltare anche se non poteva più parlare. Col figlio Federico ho una collaborazione, ci siamo sempre sentiti e sono sempre stato vicino alla famiglia di Marco. Mi aiuta e collabora con me anche se non è inquadrato nella società, col gruppo e con il match analysis. Sa di lavorare con una persona che è stata vicina a suo padre. Marco non ha voluto la sepoltura. Noi non abbiamo un posto dove andarlo a trovare e non avendo un posto lo portiamo con noi, chi gli ha voluto bene, tutti i giorni.

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Michele Bufalino
Giornalista pubblicista pisano, nel 2009 ha scritto il libro ufficiale del Centenario del Pisa Calcio, il volume "Cento Pisa" per la CLD Libri. Nel 2010 ha portato alla luce lo scandalo delle bici truccate e collaborato con la giustizia italiana nell'inchiesta aperta dal PM Guariniello. Ha scritto "La Bici Dopata" suo terzo libro uscito ad Aprile 2011. Addetto stampa del CUS Pisa tra il 2013 e il 2015. Corrispondente da Pisa per Radio Sportiva. Conduce "Finestra sull'Arena", il talk show di Sestaporta TV in onda tutti i giovedì alle 21. Collaboratore de "La Nazione" di Pisa da agosto 2018